Il panico è una reazione emozionale acuta.
Deriva da “Pan”, il dio dei boschi perché si credeva che Pan, suonando una conchiglia, inducesse terrore nel cuore degli uomini.
Cosa si prova?
Molte persone me lo descrivono così:
“Senza un motivo,
posso essere in macchina,
al supermercato,
seduto su una panchina,
seduto sul divano,
quando improvvisamente
il cuore inizia a battermi forte, va a mille…
lo stomaco si chiude…
il respiro diventa affannoso…
inizio a sudare…
le mani iniziano a tremare…
sembra che mi manchi l’aria…
mi manca l'equilibrio…
penso di essere sul punto di morire,
di avere un infarto esattamente lì in quel momento …
e nessuno mi aiuta,”
La sensazione è terribile.
Dopo varie e ripetute visite mediche, elettrocardiogrammi, ripetuti accessi al Pronto Soccorso in cui le persone si sentono ripetere che non hanno niente, il cuore è a posto, la pressione sanguigna è nella norma ma che è bene assumere un sedativo e farsi curare l’ansia.
“Io ansioso? No, io non sono ansioso, io sto male, c’è qualcosa che non va nel mio corpo, cosa faccio adesso? Sto più attento/a alle mie sensazioni. Forse è stato solo un brutto momento.”
Inizia il controllo vigile delle sensazioni corporee, il controllo delle situazione da evitare perché possono far insorgere l’attacco di panico
Ogni evitamento conferma la pericolosità della situazione evitata e l’incapacità ad affrontare quella situazione, riducendo la fiducia nelle risorse personali.
La paura continua a crescere.
Talvolta le persone mi raccontano di essere completamente intrappolate dai loro stessi tentativi di risolvere il problema: più cercano di controllare, evitare o ridurre le situazioni ritenute a rischio, più le alimentano e meno si sentono in grado di affrontarle l’indomani; più chiedono ed ottengono aiuto da familiari o amici, più trovano conferme delle loro incapacità.
La paura continuerà così a crescere, fino a che la gabbia che si sono costruiti e nella quale sono entrati non diventerà troppo piccola e stretta.
Un po’ alla volta, ogni giorno si perde l’autonomia, la lucidità di pensarsi liberi di andare e di fare.
Un po’ alla volta ci si chiude in pochi spazi ristretti percepiti sicuri, si evitano i luoghi affollati come il supermercato, il cinema, il centro commerciale, il mercato, gli autobus, i treni, gli aerei, i traghetti, i pullman, i bar, le pizzerie o i ristoranti e le discoteche.
Un po’ alla volta si evitano le riunioni in spazi chiusi, gli ascensori, i vicoli stretti.
Un po’ alla volta si smette di guidare in autostrada, di frequentare persone, di andare a prendere i figli a scuola.
Un po’ alla volta ci si chiude in casa, non si riesce più ad andare a lavorare.
Come uscire dalla gabbia?
Le soluzioni ci sono e sono diverse tra loro:
Trattamento psicofarmacologico specifico (a cura di un medico)
Trattamento di supporto omeopatico e/o fitoterapico (a cura di un medico )
Trattamento psicoterapico che comporta essenzialmente due vie:
quella prescrittiva di indirizzo cognitivo comportamentale con tempi relativamente brevi che utilizza semplici manovre, stratagemmi, ristrutturazioni e prescrizioni di pensiero e di azione .
quella esplorativa di indirizzo psicodinamico che cerca di capire il “perché” andando più in profondità per sciogliere nodi e blocchi, per rendere più chiari certi meccanismi psicologici che assumono poi la forma di attacchi di panico.
Il bello è che così si scopre come possa essere un valido alleato in questo processo terapeutico proprio la paura (il simile cura il simile) che da gabbia che limita diventerà risorsa che ci sospinge avanti.
I Sì e i No
Queste sono indicazioni generali e di massima che possono indirizzare chi vive accanto alle persone che hanno avuto o hanno attacchi di panico.
Tranquillizzare. Rassicurare la persona per riuscire a ridurre al minimo la tecnica dell’evitamento, per permetterle di vivere meglio sintomi ed ansie. Tocca a lei chiedere aiuto ed è importante indirizzare verso uno specialista, affrontare il problema e riconoscersi bisognosi di aiuto specialistico. Può essere di aiuto citare nomi di personaggi famosi che hanno dichiarato di soffrire di DAP e che hanno cambiato vita curandosi con la terapia giusta.
Comprensione e disponibilità all’ascolto. Sono fondamentali per convivere o stare al fianco.
Riconoscere i piccoli miglioramenti. E’ importantissimo sottolineare i piccoli passi effettuati nelle direzione di una autonomia.
Condividere la gioia. Può trasformarsi in un sostegno su cui poggiare.
Accettare il distacco. Al miglioramento corrisponde un naturale distacco e maggiore indipendenza.
Evitare critiche. Soffrono già abbastanza, si autocriticano da soli e sono sensibili alle critiche altrui.
Mai gonfiare il problema.
Vietato prendere in giro. Non dire mai che non si crede a ciò che riporta.
Lo strozzamento alla gola è veramente avvertito. Così il batticuore a mille, le sudate fredde, le gambe tremolanti e la sensazione di svenimento.
E’ bene ricordarlo sempre anche quando si vorrebbe uscire con quell’amico o figlio o compagna.
Schematizzando :
Sì Convincere la persona a farsi curare per il DAP
Stare vicino alla persona, accettare senza condividere paure e timori
Credere ai sintomi che il paziente accusa
Mai spingere verso situazioni che potrebbero spaventare
Ripetere di avere pazienza ed incoraggiare
Imparare a riconoscere i piccoli miglioramenti e condividerli
No Mai dire” Sforzati, sei solo un pigro”
Mai prenderlo in giro se non riesce ad intraprendere un viaggio
Mai assecondarlo quando afferma di voler interrompere le terapie
Non mettere fretta
Non farsi prendere dalle sue paure
Non esagerare con le critiche