“Noi siamo tempesta” 

di Michela Murgia, pubblicato nel 2019.

Il testo ha una grafica che considero particolare, che ben sta con le pagine scritte, con i racconti dell’autrice.

Le storie narrate sono basate su eventi realmente accaduti sui quali lei ha immaginato i dialoghi, le scene, i pensieri e su cui si forgia la sua idea di fondo “Le cose che contano si fanno insieme”.

L’insieme è di tanti, di diversi, una tempesta con la sua forza alla fine è composta di “milioni di gocce d’acqua, ma col giusto vento”.

Risulta essere una voce fuori dal coro degli individualisti, dei geni incompresi o educati ad eccellere ad ogni costo.

Negli ultimi anni sentiamo parlare e vediamo sempre più nei film Supereroi, eroi solitari con superpoteri che sconfiggono i cattivi e così facendo, riescono a fare la differenza nel mondo.

Provocatoriamente Michela Murgia si chiede e ci chiede: ”E’ davvero così?”

Afferma:” (…) ma la statistica insegna che la storia si fa esattamente in modo inverso: nella stragrande maggioranza dei casi non sono i geni solitari a cambiarla, ma il lavoro di squadra e la condivisione dei percorsi.”

Individua alcune caratteristiche nelle storie degli eroi: “ (…) nove volte su dieci l’eroe è maschio, non gli manca mai il nemico, il modello di risoluzione è bellico e la gloria del vincitore si ottiene al prezzo dell’annichilimento dei vinti. Dentro questa tipologia di storie si cresce più competitivi che collaborativi, più guardinghi che fiduciosi, più rivendicativi che riconoscenti. Si cresce psicologicamente disposti a difendersi. E se a cambiare fossero le storie che ci insegnano da bambini?

Se anziché farli addormentare sognandosi soli contro il mondo e l’uno contro l’altro dessimo loro avventure dove diventare potenti insieme?”

Scrive, come esempio, delle grandi imprese di Wikipedia, delle Madri di Plaza de Mayo, di Leonida e dei suoi 300 a Termopili nel 480 a.C., dell’Orchestra di Piazza Vittorio e di come 80 bambini di 10 anni nel 2016 a Broomfield, Colorado si siano fatti rasare la testa per essere vicini ad una bambina, compagna di scuola, in chemioterapia.

Si sono fatti tagliare i capelli per poterli vendere, perché i capelli dei bambini sono particolarmente richiesti per creare parrucche in quanto sono morbidi e resistenti.

L’hanno fatto per aiutare una bambina calva causa la chemioterapia per curare il cancro, per non farla sentire a disagio socialmente, affinché fosse una dei tanti bambini calvi e non la sola.

Le famiglie hanno donato i 25.000 $ ricavati dalla vendita alla ricerca sul cancro.

Mi piace la frase con cui conclude questo racconto: “Essere malati in un certo senso vuol dire essere speciali, ma solo se c’è qualcuno che quella specialità decide di amarla così com’è. Altrimenti essere speciali è solo un modo gentile per dire che sei