“La sposa bambina”

A maggio 2016 è uscito il film basato sul libro “Io, Nojoud, 10 anni, divorziata”

  Il film si intitola “La sposa bambina” e la regista è yemenita che ha girato tutto il film nello Yemen ed ha utilizzato persone locali come attori.

  E’ un film documentario di denuncia della situazione.

 Lei stessa è stata una sposa bambina perciò sa bene cosa si prova e conosce la condizione  di sposa forzata a 11 anni con un uomo più grande di lei di 22 anni.

La regista si chiama Khadijah Al Salami.

Stesso destino anche per sua madre, data in sposa a soli 8 anni. In cambio la famiglia riceveva una misera dote e aveva una bocca in meno da sfamare. Per sfuggire a suo marito aguzzino, Khadijah ha bevuto un’intera bottiglia di un equivalente della nostra candeggina. Ricoverata d’urgenza, è salva per miracolo.

 A 12 anni si presentò alla tivù locale con un’idea per un programma per bambini. Incominciò a mettersi i soldi da parte e a 16 anni riuscì ad andare a studiare negli States e con una borsa di studio si è laureata al Mount Vernon College in Washington.

 Ha conosciuto all’università il suo primo marito (il primo scelto col cuore e  il secondo sulla carta). E patti chiari da subito: “Non voglio figli”. Adesso vive a Parigi, scrive libri, gira documentari.

Attaché culturale all’ambasciata dello Yemen a Parigi, è diventata attivista di Child No Bride. “Prima che nascesse l’Associazione, ogni due secondi una bambina nel mondo era forzata a sposarsi”.

“Nel mio paese il 14 % delle ragazzine date in sposa  ha meno di 14 anni. Se non si interviene con una massiccia campagna di denuncia, entro il 2020 le spose bambine potrebbero essere 140 milioni, nel mondo”.

 Khadijah voleva presentare La Sposa Bambina nello Yemen. “Avevo appena finito di girare quando è scoppiata la guerra civile. Adesso le priorità  sono altre a partire dalla fame – conclude – ma so che nel mio paese lo stanno scaricando da internet. E già girano le copie pirate. L’importante è che il messaggio arrivi alle nuove generazioni”.

Riporto da “27esima corriere.it:

“La storia che vediamo sullo schermo è quella di Nojoud (che significa «nascosta» ma il nome desiderato dalla sorella per lei era Nojoum, «stelle»). Ma ci sono anche contaminazioni con la vicenda personale della regista Khadija. «C’è una scena nel bagno, per esempio – ci racconta al telefono da Parigi – che viene dalla mia esperienza personale». La protagonista si chiude in bagno e, dopo aver sbattuto ripetutamente la testa contro il muro, sviene. «Volevo uccidere mio marito e anche me stessa», ha confessato Khadija.

 Altri aspetti sono simili nella storia delle due spose bambine: innanzitutto la reazione negativa delle famiglie quando cercarono di scappare dai mariti e di trovare rifugio a casa. Ma c’è una differenza alla fine della storia. «Alla fine Nojoud non ha continuato con la scuola. Compiuti i 18 anni,  Nojoud si è innamorata del figlio di uno sceicco e l’ha sposato. Io ho dovuto lavorare a partire dagli 11 anni per potermi conquistare ogni cosa, mentre lei aveva tanto appoggio e protezione, ed è triste che non ne abbia tratto vantaggio ma è anche quello che ha scelto di fare con la sua vita. I riflettori dei media puntati su di lei da una parte hanno contribuito ad aiutare altre spose bambine a ribellarsi, ma dall’altra il fatto di aver incontrato tante celebrità, da Hillary Clinton a Nicole Kidman, ha fatto credere a Nojoud di essere una star e questo l’ha svantaggiata. Ora ha 19 anni e mezzo, ha avuto una bambina lo scorso giugno che si chiama Ahood,  cioè promesse. Vive in Arabia Saudita. Io volevo che completasse gli studi, quando ho sentito della sua storia sono andata a conoscerla e siamo tuttora in contatto. Le dicevo sempre: la sola cosa che può salvarti è l’istruzione. Ma di recente mi ha mandato un messaggio che diceva: “Sarebbe stato meglio se ti avessi ascoltata”. In fondo è giovane. Forse c’è ancora tempo per lei».

La regista si è concessa qualche licenza poetica rispetto alla cronaca. Nel suo film non è solo il giudice a decidere la sorte di Nojoud, ma a un certo punto appare anche lo sceicco del villaggio. La regista spiega infatti che sarebbe meglio responsabilizzare figure autorevoli come gli sceicchi. «Nojoud è stata fortunata perché le è capitato di trovare un buon giudice. Ma un altro giudice magari non le avrebbe accordato il divorzio. Gli sceicchi sono potenti e possono contestare i giudici, ma in questo caso il nostro sceicco fa una scelta diversa. Dovremmo dare loro la possibilità di essere responsabili. Se sfidi la tradizione è una cosa, se invece porti il cambiamento cambiando anche la tradizione è un’altra cosa». Khadija ha deciso di fare questo film perché moltissime donne e uomini, nel mondo arabo, non sono consapevoli del dramma delle spose bambine. «Nelle città succede raramente, ma nelle campagne capita tutti i giorni Una delle lezioni più importanti del film di Khadija Al Salami è che i familiari di Nojoud non sono dei mostri. «Nemmeno i miei genitori erano dei mostri. È che non conoscevano nessuna altra realtà e questo è il risultato dell’ignoranza: un fallimento dello Stato che non diffonde una maggiore consapevolezza, oltre che un problema legato alla povertà».

 

Mi nascono alcune riflessioni, sulla barbarie così diffusa sulle donne, ho letto cifre impressionanti su quanto questo fenomeno sia diffuso tuttora, oggigiorno.

Su come la violenza generi violenza, su come l’ignoranza perpetui violenza, su come la povertà perpetui violenza.

Come intervenire per rompere tale catena? Le risposte sono sia nei grandi sistemi che nei piccoli. Nei piccoli sistemi ovvero nel quotidiano possiamo essere consapevoli e rispettosi delle altre persone, possiamo difendere le donne, aiutarle, sostenerle ed appoggiarle confidando nella loro intrinseca capacità di scelta, nel loro diritto di libero arbitrio.