Il senso di ingiustizia

Il senso di ingiustizia può nascere da un’insoddisfazione specifica e duratura.

E’ uno stare male sempre e continuo e non c’è nulla che possa alleviare lo stato di sofferenza. La colpa è degli altri o del fato. Non c’è fine al pianto, le frasi sono sempre le stesse: “Nessuno mi ama”, “Nessuno mi vuole”, “Nessuno mi rispetta”, “Nessuno mi capisce”, “Ce l’hanno con me ed io non ho fatto niente”, “Sono sfortunato”, etc.

Non hanno pace e chi è loro accanto si stanca prima o poi di ascoltarli.

Come mai?

Vivere insieme ad altre persone porta inevitabilmente ad avere relazioni con persone che non ci somigliano e ad andare incontro a delusioni rispetto a talune aspettative.

Vivere nel mondo ci porta ad avere a che fare con ingiustizie più o meno palesi, più o meno grandi. Tutto questo fa da sfondo e non possiamo non tenerne conto ma quanto incide sulle persone che si lamentano incessantemente?

Periodi “da Calimero” li abbiamo avuti e li abbiamo tutti, specialmente in adolescenza quando si vive con alti e bassi umorali, ci chiediamo pertanto qual è il senso di ingiustizia che viviamo, se è quello attuale, quotidiano o se affonda anche ma non solo in antiche radici, in antiche ferite che ancora sanguinano.

Un effetto paradossale possono averlo anche alcune forme di morale, del “pensare positivo”, del “vivere l’istante presente” che se da un lato possono aiutare, da un altro possono imporre modi rigidi di pensare, che impediscono l’ascolto e l’accoglienza dell’altro, nonché le fluidità della comunicazione e lo scambio spontaneo.

Il dubbio allora si pone: meglio reprimere o lamentarsi? Dipende, alcune persone preferiscono esprimersi sia perché non possono farne a meno e sia perché ritengono che la lamentela non espressa possa sfociare in aggressività.

Il senso di ingiustizia può nascere da una mancanza d’amore, di considerazione, di rispetto, di accoglienza, di riconoscimento, da una perdita dolorosa o da una minaccia di perdita futura.

“Molto spesso un’esperienza di ingiustizia cerca una via di uscita nel lamento, come se fosse l’unico luogo possibile in cui emergere. (…) In realtà questo ritornello in forma di lamento nasconde l’incapacità di esprimere le proprie vere infelicità. In sostanza, i Calimero della realtà quotidiana si lagnano per “ingiustizie” presenti spesso senza grande importanza, invece di portare alla luce le ingiustizie passate che non sono state ascoltate e per le quali non hanno ricevuto consolazione”. (1)

 

Nota 1

Tomasella, Saverio, La sindrome di Calimero, Sperling & Kupfer, Milano 2018