Ho mangiato abbastanza 3

Si cerca la formula semplice e magica ma senza consapevolezza si rischia il fallimento:

 “Questo sono le dipendenze: un’incapacità strutturale di stare a contatto con i problemi e le contrarietà, il percepirsi inadatti a sopportare ciò che non va esattamente come si era previsto. Le dipendenze hanno a che vedere con la rigidità e l’eccesso di controllo, e con l’impossibilità di vivere “dentro” la realtà.

La dipendenza è una strategia mentale che riguarda l’evitamento sistematico della sofferenza. In questo senso ci si può rendere capaci di farlo attraverso un vero e proprio addestramento.

In poche parole, occuparsi solo del “piano alimentare” che pure è uno degli strumenti fondamentali all’interno del processo, è come curare con un antipiretico la febbre provocata da una broncopolmonite:

potrà far scomparire il sintomo della febbre, ma non intaccherà minimamente la patologia che è alla base del sintomo stesso.

Si tratta, lo ribadisco fino alla noia, di mettere in atto un ribaltamento di pensiero.

La conclusione a cui sono giunto è che, in realtà, occuparsi del cibo ha ben poco a che fare col dimagrire.

(…) nessun metodo è realmente possibile, Nessun metodo che non tenga conto dell’unicità dell’essere umano che si ha di fronte.

Sono diventato un professionista della relazione d’aiuto per questo motivo: testimoniare come i metodi che di solito si usano per affrontare il desiderio di perdere peso non funzionino in quanto “curano” (o cercano di curare) i “sintomi” invece di occuparsi della “radice” del problema.

Nella mia esperienza di ex obeso mi è capitato di aver a che fare con i metodi più vari e con un gran numero di professionisti del settore del dimagrimento, tutte persone degnissime, preparatissime, disponibilissime, che – a mio modo di vedere- sottovalutavano, però, un aspetto centrale della questione: il “come” riuscire a fare quello che loro, coscienziosamente, consigliano di fare.”

Esistono persone che hanno patologie organiche ma la stragrande maggioranza no.

Culturalmente stiamo dando spazio a teorie genetiche come spiegazione causale di certe condizioni, malattie, dipendenze che ci esautorano da responsabilità e parte attiva nei processi sia dell’essere che della cura.

Concordo con James Hillman quando afferma: “Quanto più la mia vita viene spiegata sulla base di qualcosa che è già nei miei cromosomi, di qualcosa che i miei genitori hanno fatto o hanno omesso di fare, tanto più la mia biografia sarà la storia di una vittima.”

( James Hillman, “Il codice dell’anima” 1997)

Credo nel libero arbitrio e nella possibilità di scelta, sarebbe ben triste se tutto fosse scritto ed io non potessi essere artefice della mia vita, della mia esistenza, almeno in parte.

“Sembra una cosa da poco, ma in realtà a impedirci di essere diversi è la nostra convinzione che non lo possiamo essere. Non dico che volere è potere, come piace ai “motivatori” o ai “personal coach” all’americana, dico però che immaginare di potere, anziché immaginare di  non potere, è molto più utile.

(…)

Ho avuto tra le mani i migliori piani alimentari disponibili sul mercato, ma mi era impossibile seguirli. Mi era impossibile perché non avevo acquisito, prima di applicarli, la “capacità” di sopportare ciò che deriva dal farlo.

(…)

   Man mano che incontro persone che hanno difficoltà a mantenere un peso sano, scopro che ognuno ha la sua storia, le sue caratteristiche, le sue ossessioni. E anche se c’è alla base un denominatore comune, le generalizzazioni non funzionano. Come le diete che si trovano nei libri. Grazie alla scuola (di counselling transpersonale ) ho acquisito la convinzione che, come dice lo psicoterapeuta americano Carl Rogers, a favorire la possibilità di instaurare un processo di “guarigione” non è tanto l’approccio tecnico che si usa, quanto la qualità della relazione d’aiuto.”

Parole sante. La relazione d’aiuto fa la differenza, non tanto l’approccio tecnico.

“Risolvere il problema del cibo vuol dire occuparsi di sé e dei propri vuoti, delle proprie paure, delle proprie ombre. Vuol dire sradicare alcune delle proprie convinzioni più solide, galleggiare nell’incertezza e nel vuoto, proseguire nonostante tutto, abbandonare vecchi pensieri. Non è facile. Non può essere facile. Però è possibile, di questo sono certo.

La chiave di tutto è la consapevolezza.

L’accorgimento che uso è quello di rendere ogni azione che faccio nella giornata (quando mi ricordo, senza perfezionismi!) un’azione svolta in consapevolezza.

E’ una meditazione potentissima: sto pienamente con quello che sto facendo. Pensieri, programmi, progetti possono aspettare.

Sono libero di interrompere ciò che mi danneggia, Sempre.

Mi esercito a lasciar andare quanto più posso, in tutti i campi della vita.”

  

Ho mangiato abbastanza. Come ho perso 60 chili con la meditazione (e altri segreti).

Giorgio Serafini Prosperi

Venezia, Ed. Sonzogno, 2017