“Chi sta male non lo dice”

Altro bel libro di Antonio Dikele Distefano, lo stile è inconfondibile, sempre quello del libro d’esordio “Fuori piove, dentro pure, passo a prenderti?” ma nel registro di un romanzo.

Parole, pensieri ed emozioni che si fondono magistralmente. Senza filtri, a scrivere di relazioni.

Si sente la chiusura delle persone: ”Prima di te, tutte le ragazze con le quali stavo mi hanno sempre detto che gli uomini sono tutti uguali, come diceva tua cugina. Allora io ho provato a capire in cosa ero uguale agli altri e mi sono messo d’impegno, provavo a essere più attento quando la ragazza con cui uscivo mi parlava, a guardarla  dormire quando si addormentava, provavo a baciarle la schiena e a restare calmo quando era nervosa e lei stessa si definiva intrattabile. Una volta mi presentai pure al bar dove lavorava per farle una sorpresa e ne rimase contenta, ebbi questa impressione. Mi abbracciò posando la guancia sul petto. Ma poi l’ho vista tornare da chi disprezzava, da chi vedeva in lei solo le forme e non le forme di pensiero, l’ho vista trattarmi come avevano fatto con lei in passato, facendomi pagare errori che avevano commesso altri prima di me. E ho capito che non è vero che siamo tutti uguali, siete voi a scegliere uomini tutti uguali .”

Ha riassunto in poche righe trattati e manuali sulle relazioni di coppia.

  • La generalizzazione “Gli uomini o le donne sono tutti/e uguali” può aiutare nel cogliere similitudini ma ognuno ha una personalità che va colta ed accolta.
  • Comportarsi diversamente per compiacere, per sedurre, forse per finta, senza essere sé stessi.
  • Cercare di cambiare l’altro o l’altra
  • Sfogarsi, scaricarsi con chi ci è più vicino, disponibile
  • Ripetere gli stessi errori, cercare la stessa tipologia di persona in modo seriale per poi sempre serialmente pentirsene

Che fare? La strada che io vedo percorribile è quella della consapevolezza, del rendersi conto di ciò e del perché per uscire dalla ciclicità forzata.

Altro passo molto bello è indice di apertura, di desiderio, come solo lui sa scrivere: ”Amavo ascoltarti, l’avrei fatto per ore e mentre che mi parlavi ti guardavo.

Ti guardavo come si guarda qualcosa che si sa già che ci mancherà. Troppo esile e indeciso per durare. Un punto fermo che non c’è. Ti guardavo come si guarda il tramonto, come quando per strada d’inverno si cerca il mare dal finestrino della macchina. Ti guardavo come si guarda un treno appena perso, sperando ancora che si fermi e che si aprano le porte. Ti guardavo non perché eri bello, non perché sentivo di avere molto di più.

Ti guardavo perché non è vero che la felicità siamo noi stessi.”

Scrittura d’effetto e visiva.