“ La persecuzione del bambino” 3

La psicoanalista  mantiene un atteggiamento antipedagogista, è contro ogni tipo di educazione anche quella antiautoritaria in quanto schema creato da adulti non del tutto imparziale ed a favore dei bambini..

Secondo lei le varie pedagogie mirano a soddisfare perlopiù i bisogni degli adulti fra cui:

  • “il bisogno inconscio di trasmettere a qualcun altro le umiliazioni vissute in passato;
  • Il bisogno di trovare una valvola di sfogo per gli affetti respinti;
  • Il bisogno di possedere un oggetto vivente sempre disponibile e manipolabile;
  • La necessità di mantenere l’autodifesa, vale a dire il bisogno di conservare l’idealizzazione della propria infanzia e dei propri genitori, cercando attraverso la giustezza dei propri principi educativi una conferma di quelli dei genitori;
  • La paura della libertà;
  • La paura del ritorno del rimosso, che si ripresenta nuovamente nel proprio figlio e che ancora una volta si deve combattere, dopo averlo già annientato in sé stessi;
  • E infine la vendetta per le sofferenze patite

(…) In antitesi e con l’opinione comune e con buona pace dei pedagoghi, non posso attribuire al termine “educazione” alcun significato positivo. In essa intravedo l’autodifesa dell’adulto, la manipolazione dovuta alla propria mancanza di libertà e alla propria insicurezza.”

Parole forti e chiare, attualissime.

Ci indica anche però come andare aldilà di schemi predefiniti  rigidi a priori, indipendente dal bambino che ha bisogno di trovare nell’adulto un compagno  sia sul livello fisico che su quello psichico.

Esorta ad avere:

  1. Attenzione nei confronti del bambino;
  2. Rispetto per i suoi diritti;
  3. Tolleranza per i suoi sentimenti;
  4. Disponibilità ad imparare a conoscerlo, ad imparare sul proprio “essere bambini” e sulla natura affettiva che in un bimbo si esprime con maggiore intensità e purezza rispetto ad un adulto.

“La maggior crudeltà che si possa infliggere ai bambini è quella di non consentire loro di esprimere la propria ira e il proprio dolore, senza correre il pericolo di perdere l’affetto e l’amore dei genitori. L’ira provata nella prima infanzia viene immagazzinata nell’inconscio e, dato che esso rappresenta fondamentalmente un sano e vitale potenziale di energia, per mantenere rimosso tale potenziale occorre impiegare un’equivalente quantità di energia.”

A proposito del trauma A. Miller afferma che non è l’evento in sé ad ammalare ma la non possibilità di elaborarlo: “Non è il trauma in sé a far ammalare, come ho già sottolineato più volte, bensì la disperazione inconscia, rimossa e desolata dovuta al fatto che non sia consentito dare espressione alle sofferenze patite e che non sia permesso né mostrare né vivere sentimenti di rabbia, ira, umiliazione, impotenza, tristezza.

Questo porta molti individui al suicidio, per ché la vita non appare loro più degna di essere vissuta, dal momento che non sono più in grado di provare alcuno di quegli intensi sentimenti che costituiscono il vero Sé”

 L’autrice afferma che è possibile recuperare la sofferenza e l’elaborazione della sofferenza ridando valore e riconoscimento alle emozioni provate e rimosse nell’infanzia.

Ci indica e conferma una via di guarigione possibile ed  attuabile relativamente in modo facile.